Le neobank europee tra Atene e Sparta, la guerra fredda delle CBDC ed il fenomeno WineTech

Come ebbe a dire Vincenzo Monti nel suo Aristodemo, riferendosi alla disastrosa guerra del Peloponneso, dalla quale sia la vincente Sparta che la vinta Atene ne uscirono praticamente distrutte sotto ogni punto di vista : “Se Atene piange, Sparta non ride”. Questo adagio, divenuto proverbio ai giorni nostri, sembra calzare a pennello con la descrizione dello stato attuale delle neobank europee apparso in un recente articolo articolo pubblicato da Forbes. Di Monzo vi ho parlato spesso in questo blog ma la situazione di Revolut, N26 e Starling non è che sia molto più rosea. Per quanto riguarda la prima, la notizia che ha fatto sicuramente più effetto è l’aver triplicato le entrate, dai 75 milioni di dollari del 2018 ai 211 del 2019, ma ciò che preoccupa è il grande aumento del numero dei dipendenti che, nello stesso periodo, sono passati da 633 a 2261, con il costo degli stessi che è triplicato, arrivando a raggiungere 350 milioni di dollari. In buona sostanza, la fintech britannica sta perdendo “l’elasticità” tipica delle neobank e si appresta a dover affrontare una forzata riduzione dei costi … sulla sponda tedesca, N26, con un fatturato di 50 milioni di dollari si trova a dover far fronte a circa 86 milioni di perdite operative e, durante l’ultima riunione tra i manager ed i rappresentanti dei lavoratori è dovuta intervenire la polizia. Insomma se Revolut piange, N26 non ride. Non ha molto da rallegrarsi neanche Starling che, seppur tra le tre è quella con i conti più in ordine (entro l’anno potrebbe raggiungere il pareggio), non riesce a sfondare in quanto a numero di clienti, rimanendo a ferma a circa 1,25 milioni di conti (anche se, ad onor del vero la proposta di Starling è più rivolta ad azienda che alla platea retail). Altro campanello d’allarme, che accomuna tutte e tre le neobank è quello del calo del saldo medio dei depositi, che ha fatto registrare un meno 25%. Con questi numeri alla mano, alcuni esperti di settore cominciano a parlare di acquisizione delle tre neobank da parte di grandi gruppi bancari. Come già più volte da me affermato, urge un cambio di paradigma deciso per quanto riguarda l’offerta, magari cavalcando di più l’innovazione (settore per ora inesplorato) oppure, considerando il knowhow accumulato in questi anni, le tre sorellastre potrebbero interpretare il ruolo di fornitori nel mondo del del BaaS (Banking as a service). Chissà …

La techwar tra Usa e Cina, sta assumendo sempre più i contorni della famosa guerra fredda, che si scatenò tra USA e URSS a partire dal 1947 e che terminò, di fatto, tra la caduta del muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (1991). In questa “guerra” tra le due potenze economiche, le armi usate sono i wallet digitali, i protocolli di interoperabilità, la tecnologia blockchain e le CBDC (Central Bank Digital Currencies). La Cina ha giocato d’anticipo e ha dalla sua un forte e radicato uso di strumenti di pagamento digitali (Alipay e WeChat), è in prima linea per quanto riguarda le cryptovalute (circa il 65% del mining di tutte le crypto mondiali avviene in Cina) e la sua banca centrale sta per emettere una versione digitale dello Yuan. Gli Stati Uniti stanno rincorrendo, ma non sarà facile recuperare in quanto, nel paese, i contanti e le carte di debito sono ancora gli strumenti di pagamento più diffusi e sul fronte di una possibile versione digitale del Dollaro, i legislatori si stanno affidando a due protocolli blockchain entrambi controllati da miners cinesi. Il paese delle “grandi opportunità”, nonché patria delle GAFA (Google, Amazon, Facebook ed Apple), arranca clamorosamente e la Cina sembra avere un predominio schiacciante. Tornando alla Guerra Fredda, tutti ricordiamo che, una parte importante nella fine delle ostilità, la ebbero i due capi di stato dell’epoca, Reagan e Gorbaciov … non aggiungo altro.

Tralasciando per un attimo il Fintech di casa nostra e la techwar Usa-Cina, torno ad una mia vecchia passione: il vino (sono sommelier FISAR e consumatore moderato ed illuminato); mi piace raccontarvi di un settore che, almeno in Europa, sta conoscendo una grande crescita : il WineTech. Sempre più sono le startup che si cimentano nel mondo del vino e questo fermento (è proprio il caso di dirlo), ha spinto una grande azienda del vocato territorio di Bordeaux, Chateau Le Sartre, ha creare all’interno della sua tenuta, uno spazio che ospita all’incirca una ventina di startup. In questo modo, gli innovatori del settore, hanno la possibilità di vivere tutte le attività legate alla produzione del vino, dall’impianto della vite, alla messa in commercio delle bottiglie. I finanziamenti sono copiosi e vanno di pari passo con l’aumento dell’uso della tecnologia in tutte le fasi della lavorazione dell’uva. Ci sono startup che si sono specializzate nell’ecommerce dedicato al vino, altre che gestiscono una sorta di Ebay enologico, con tanto di scambi di bottiglie tra cantine di privati ed altre che curano il crowdfunding per sostenere le case vinicole blasonate ma in difficoltà. Secondo me qui, prima o poi, ci scappa un’unicorno. Prosit ! Cin Cin ! Salute !

A prestissimo e … mai paura !

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