I dubbi amletici del Fintech

Se è vero che le banche digitali, le startup e le challenger banks sono bravissime ad offrire le migliori soluzioni digitali disponibili sul mercato, sarà altrettanto brave a monetizzare questo primato ? Ma soprattutto, i loro clienti che oggi pagano una sottoscrizione Premium o Metal o altro, continueranno a farlo ? Il foraggio proveniente dai round di finanziamenti continuerà ad arrivare ? Mi sono permesso di sollevare più volte questi dubbi in altri miei post e oggi vorrei metterli in ordine, perché, secondo me, rappresentano la chiave di volta per comprendere gli sviluppi, presenti e futuri, di questo settore. Sappiamo tutti che, nella filiera dei pagamenti, non si può pensare di mantenere in piedi il proprio business soltanto con le commissioni derivanti dalle transazioni dei propri clienti. E’ per questo che ci si barcamena, in primis, offrendo servizi aggiuntivi tramite sottoscrizioni Premium o comunque di livello superiore a quello base, chiedendo una fee annua al sottoscrittore (c’è chi, ad esempio Monzo, che chiede una commissione per il servizio di account aggregation). Questi prodotti, però, non sempre registrano un forte appeal nei clienti: secondo Global Web Index, infatti, solo il 5% dei clienti di Revolut ha sottoscritto un account Premium o Metal, costringendo la Fintech inglese ad impegnativi round di finanziamenti ed alla ricerca continua di nuovi servizi da offire (gratuitamente però) ai propri clienti Basic. Pensiamo, inoltre, alla levata di scudi che c’è stata un paio di mesi contro Curve, immediatamente dopo che il card aggregator britannico aveva comunicato ai propri clienti Base l’applicazione di una fee a fronte di alcune transazioni di pagamento (qualche settimana dopo Curve, come molti altri, ha subito gli effetti nefasti dello scandalo Wirecard, ma questa è un’altra storia) e, per chiudere il panorama, sembra che anche la tanto blasonata N26 faccia fatica a vendere i suoi servizi Premium al di fuori del suolo natio. Obiettivamente non è una situazione che può reggere per molto, così come non è pensabile che queste aziende continuino a correre come un criceto sulla ruota, con l’obiettivo di trovare questo o quel prodotto da proporre ai propri clienti, ovviamente fino a che un competitor non ne copierà le mosse offrendone uno simile ma con un vestito più attraente … ed il circo inizia nuovamente. A mio modesto parere, questa situazione non migliorerà neanche con il consolidamento delle funzionalità relative all’Open Banking, dove le banche si stanno organizzando, o in solitaria o in coalizione con altre, al fine di personalizzare e monetizzare al massimo le API che riusciranno a sviluppare; ed indovinate chi pagherà le banche per questi servizi ?

Sarà, forse, proprio per far fronte a questa prospettiva incerta che, le principali realtà Fintech europee – da N26 a Moneyfarm, da Satispay a Tink – si sono riunite nella EFA (European Fintech Association). Oltre a quanto accennato prima, una spinta alla costituzione di questa sorta di sindacato Fintech nasce dalle azioni della Commissione Europea che, da mesi, sta sollecitando le varie istituzioni finanziarie affinché nasca una nuova strategia di finanza digitale con strumenti realmente innovativi che possano permettere al nostro continente di fronteggiare le egemonie del Dollaro e dello Yuan che rischiano di schiacciarci con una sorta di effetto tenaglia. Tra i primi dell’associazione figura la pubblicazione di un position paper per quel che riguarda le tematiche antiriclaggio (AML) e Know Your Customer (KYC). Il mio personalissimo auspicio è che l’EFA possa fare da traino per iniziative riguardanti la Blockchain (il Fintech europeo dispone del più grande ecosistema di token di sicurezza, come sostiene un recente studio di The Blockchain Center) e lo sviluppo di una versione digitale dell’Euro (CBDC).

A prestissimo e … mai paura !

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